Clinica

mar112015

Trattamento dei disturbi dell'alimentazione: equipe multidisciplinari o trattamenti basati sull'evidenza?

In Italia non sono ancora disponibili linee guida per il trattamento dei disturbi dell'alimentazione, ma recentemente sono stati prodotti dei documenti di appropriatezza clinica e di consenso.  I Quaderni del Ministero della Salute (numero 17/22 di luglio 2013) raccomandano di fare studi controllati che consentano di confrontare le diverse tecniche di psicoterapia individuali e familiari, a breve e a lungo termine e di disseminare le terapie basate sull'evidenza.  La Conferenza di consenso (Roma il 24-25 ottobre 2012) sostiene, invece, che "il trattamento mono-professionale non è raccomandato" e che "l'approccio da garantire deve essere multidimensionale, interdisciplinare, multi-professionale integrato".  In queste due raccomandazioni ci sono delle contraddizioni che meritano di essere spiegate.
Le principali terapie basate sulle evidenze, disponibili per i disturbi dell'alimentazione, sono la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la terapia interpersonale (IPT) per la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating, la terapia basata sulla famiglia (FBT) per gli adolescenti affetti da anoressia nervosa. È da sottolineare il fatto che queste terapie sono state somministrate da un singolo terapeuta e non da équipe multidisciplinari.
L'intervento multidisciplinare non è mai stato testato in rigorosi studi randomizzati e controllati e, sebbene sia inevitabile in pazienti gravemente malnutriti e complessi e in contesti di cura intensivi (per es. ricovero o day-hospital), presenta vantaggi e svantaggi.  Il vantaggio è la presenza di clinici con competenze multiple che permette di gestire pazienti complessi. Gli svantaggi sono il fornire informazioni contradditorie, l'impossibilità da parte dei clinici di poter apprezzare e osservare l'intero quadro clinico del paziente e il costo elevato.
Con le terapie basate sull'evidenza, somministrate da un singolo terapeuta (CBT, IPT, FBT) in 20-40 sedute, i 2/3 dei pazienti che concludono il trattamento (circa l'80%) raggiunge una remissione duratura dal disturbo dell'alimentazione. Questo dato dovrebbe suggerire che l'intervento di prima scelta da raccomandare per la cura dei disturbi dell'alimentazione dovrebbe essere, secondo i casi, la CBT, la IPT o la FBT. I vantaggi sono, oltre all'efficacia, i bassi costi e il non fornire informazioni contraddittorie ai pazienti. Purtroppo, questi trattamenti sono raramente applicati al di fuori dei luoghi di ricerca e, ancora oggi, molti pazienti in Italia continuano a ricevere interventi subottimali.
Le équipe multidisciplinari dovrebbero essere implementate solo in alcuni centri di riferimento che hanno la disponibilità di interventi intensivi di cura, a cui i clinici possono inviare i pazienti che non rispondono alle terapie ambulatoriali standard basate sull'evidenza. Anche in questi centri di riferimento, comunque, è opportuno, al fine di fornire un approccio coerente e non contradditorio, che i terapeuti, pur mantenendo i loro ruoli professionali specifici, condividano la stessa filosofia e teoria, utilizzino un linguaggio comune con i pazienti.

Riccardo Dalle Grave


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